RIVOLI CITTÀ ATTIVA CONTRO LE VIOLENZE TRA POLIZIA E STUDENTI

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dal GRUPPO “RIVOLI CITTÀ ATTIVA”

RIVOLI – Gli episodi di brutale violenza da parte della polizia, nel corso della pacifica manifestazione degli studenti di venerdì scorso a Torino, non sono, purtroppo, un fatto isolato. Pochi giorni prima, sempre a Torino, nel corso di un’altra manifestazione in Borgo San Paolo, si sono ripetute le stesse scene, documentate in numerosi video.

Spesso i giornali li definiscono “scontri tra manifestanti e forze dell’ordine”. In realtà quasi sempre si tratta
di manifestanti a mani nude e viso scoperto presi a manganellate, calci e colpi di scudo, definite “cariche di
alleggerimento”.

A cominciare dal G8 di Genova, nel 2001, sono innumerevoli i casi di scellerata violenza contro i manifestanti, con il preciso intento di intimidire e reprimere il dissenso e le lotte sociali, che siano i pastori sardi, gli studenti, il Movimento No Tav o i lavoratori della logistica (o le proteste dei carcerati, come il caso di Santa Maria Capua Vetere).

Questi fenomeni non accadono per caso, o per pura fatalità. Le azioni delle forze dell’ordine sono sempre preparate e
organizzate nei particolari, come pure le scelte di quali reparti, e quali uomini e donne, schierare in quella
data occasione.

Gli episodi di violenza hanno quindi nomi e cognomi: i responsabili materiali che manganellano o torturano o sparano lacrimogeni ad altezza uomo, e i mandanti, che hanno programmato e diretto le azioni, questura, funzionari, responsabili di piazza.

Dopo ogni porcheria indifendibile cala il silenzio. Si promettono indagini interne accurate, per identificare e
punire i responsabili delle violenze, e .… bla bla bla. Passa il tempo, le indagini finiscono in un punto morto,
qualcuno trasferito, altri vengono promossi.

Ciò è possibile grazie all’omertà consapevole che si crea tra mandanti ed esecutori di quelle violenze. I mandanti non perseguono i responsabili materiali, perché questi potrebbero decidere di difendersi rendendo pubblici gli ordini ricevuti e, a loro volta, i responsabili delle violenze tacciono, confidando nell’indulgenza a loro concessa, magari in cambio di qualche promozione.

L’unico modo per spezzare la catena di omertà consiste nel dotare di codice identificativo tutti gli appartenenti alle forze dell’ordine. Questo permetterebbe indagini rapide e l’emergere del fango delle decisioni assunte dietro le scrivanie.

Non è un obiettivo rivoluzionario, è una battaglia di civiltà. In Europa 20 paesi su 28 funzionano così. La nostra stessa Carta Costituzionale prevede che tutti, indistintamente, debbano rendere conto del proprio operato, dal Capo dello Stato ai magistrati. Perché dunque l’anonimato degli agenti?

Questa questione è già stata sollevata da tempo, ma il grosso delle forze politiche non ha alcuna intenzione di procedere su questa strada. Solo una grande campagna politica che metta insieme movimenti sociali, associazioni, sinceri democratici, intellettuali, giornalisti, docenti, magistrati, giuristi…. può rimettere al centro questo obiettivo, garantendo il sacrosanto diritto, sancito dalla Costituzione, di manifestazione, dissenso e conflitto sociale.

Marco Rossino
Loredana Trinchieri
Roberto Sarto
Elvira Garrone
Piero Miniggio
Filadelfo Castiglia
Alessandra Garro
Enzo Vitulano

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