RIVOLI, LETTERA DI UNA PAZIENTE: “GRAZIE ALL’OSPEDALE”

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di PAOLA LOIACONO

RIVOLI – Un tranquillo pranzo di Pasquetta, con gli amici e un improvviso mal di gola! “Accidenti, domani si lavora”, penso, così salutiamo tutti e torniamo a casa: oki, tachipirina e via, fino a giovedì.
Ma in serata, un altro malessere improvviso mi coglie nel caldo relax del mio divano: dolori forti a collo, braccia e gambe. “Mannaggia, l’influenza che avanza -penso- una bella nanna e domani sono come nuova”.
Ma la nottata passa travagliata e al risveglio sono immobilizzata dal dolore, ho la pressione a 48/66 e la febbre alta oltre a qualche macchietta rossa sulla pelle.
Così si susseguono: chiamata al medico curante, la dottoressa Fabiola GUIOTTO, che accorre tempestiva, la richiesta di ambulanza, con ipotesi di sospetta meningite e la corsa in sirena all’ospedale di Rivoli, dove arrivo in codice rosso: “Donna giovane in shock settico”, dice una voce. Io ancora penso: “Giovane? sono io?”.
L’intervento è tempestivo e molto professionale, io soffro, ma sono lucida e collaboro, tutti si presentano, mi fanno domande, mi spiegano cosa faranno e procedono…io non mi muovo e se mi toccano sobbalzo, mi tagliano i vestiti per svestirmi: ho assunto la posizione supina con lo sguardo al soffitto che, non lo so ancora, ma manterrò per i successivi 8 giorni. È venerdì 26/4/2019.
Un giovane dottore si presenta come anestesista e mi preannuncia la rianimazione. Chiedo: “Ma ho la meningite?”, che per me è il massimo del disastro e, alla risposta negativa, sospiro soddisfatta: “Che bello! meno male! un antibiotico e vado a casa”.
Ma i segnali esterni sono diversi: tutti mi stanno addosso, sono preoccupati, l’emergenza è palpabile, la mia amica infermiera Lotty mi esorta a non mollare, mia sorella, che si è riuscita (solo lei può!) a intrufolare, mi guarda supplichevole incoraggiandomi a resistere, le facce dei miei cari che accompagnano la barella nei corridoi sono piangenti e atterrite, io sono immobilizzata e stordita dal dolore. È in quei momenti che pensi: “Mah! Forse mi sta sfuggendo qualcosa; sarò mica al classico bivio tra la vita e la morte? nel caso, cosa faccio? Lotto e resisto o mi abbandono al dolore?”.
Allora, pensi alla tua vita, il primo pensiero alla mia figlia adorata Giorgia e poi Aldo, il compagno di vita sempre vicino, Vera mia sorella e i miei cari genitori Nicla e Michele, già sconvolti dopo avermi solo vista partire inerme in ambulanza da casa…. e ti dici: “Qui bisogna combattere! Coraggio!”.
Il giovane dottore (lui veramente giovane!) non mi molla; in ascensore qualcuno sembra paventargli un altro impegno, ma lui esclama: “Non mi interessa, io sto su di lei!”; mi viene da dire ad alta voce “bravo dottore!”, perchè mi è simpatico e mi dà fiducia, ma ormai mi è scappata la voglia di scherzare.
Rianimazione: letto n. 1, l’equipe è pronta: la capacità di gestire l’emergenza e la reale competenza con l’ottica del paziente che, nonostante tutto riesco a notare, mi colpisce; il giovane anestesista scatena un secondo finimondo: attiva tutti, infettivologo in primis, cardiologo, neurologo, … , lavorano d’equipe, mettono insieme i parametri, valutano e sentenziano: “non é meningite” e io, di nuovo penso: “Bene! Datemi sto antibiotico, che me ne vado a casa”.
Ma, in realtà, sono già tutta incannulata e attaccata a mille allarmi, ancora immobilizzata e ricoperta (ciliegina sulla torta! Che però scoprirò solo nei giorni successivi, quando riuscirò un po’ a sollevarmi) di petecchie (impressionanti lesioni cutanee rosse su tutto il corpo); poi, chiedono i recapiti ai miei parenti, io guardo mia sorella, lei caritativamente glissa, io me la bevo e la saluto dicendo: “Guarda che domani sono ancora qui”.

Fatti:
– a poche ore dal ricovero già avevano iniziano a confinare l’infezione
– a pochi giorni, hanno compiutamente identificato il batterio e l’hanno annientato
– diagnosi: Sepsi da Neisseria meningitidis, 1 caso ogni 400.000 persone circa nella mia fascia d’età (dati Istituto Superiore Sanità), più rara e più letale della meningite.

I dottori Cristiano DRUETTO e Guido LEO mi HANNO SALVATO LA VITA, insieme alle equipe di Pronto Soccorso e Rianimazione dell’Ospedale di Rivoli (TO).
3/5/2019, reparto di Medicina 2, primario Paola MOLINO, sempre dell’Ospedale di Rivoli: la stabilizzazione, ma i dolori, almeno alle braccia, rimangono lancinanti e sono quasi immobilizzata ancora, quei dolori che ti fanno piangere e disperare, ti scoraggiano… l’immobilità è terribile, non sei padrone del tuo corpo, lo senti estraneo, qualunque movimento dipende dagli altri, che ti prendono, ti girano, non ti puoi grattare, mangiare, lavare….nulla! Ma tu resisti perchè tutti lavorano per te, perchè la tua famiglia ti vuole bene, perchè gli amici ti sostengono, perchè… hai deciso di lottare!
Qui la dottoressa Francesca METE e il dottor Guido LEO riescono a trovare la terapia e ad alleviare le pene, portandomi fuori dall’oblio e dall’immobilità.
8/5/2019, trasferimento all’Amedeo di Savoia di Torino, dove il primario Pietro CARAMELLO e il suo staff mi seguono fino a smarcarmi piano piano dalla terapia e restituirmi alla normalità.
14/5/2019…. dimessa! Il percorso sarà ancora lungo, ma sono felice: ho vissuto un’ esperienza tanto assurda quanto positiva, dove ho scoperto migliaia di affetti e quanto ognuno di essi sia importante per superare i giorni bui non l’avrei mai capito diversamente;
ho confermato di avere una figlia meravigliosa, la mia Giorgia, piccola guerriera subito pronta a combattere al mio fianco; che ha pure festeggiato i suoi 17 anni al capezzale del mio letto di ospedale in rianimazione;
il mio compagno Aldo, che ha presidiato l’ospedale e accudito me ininterrottamente, in modo così incondizionato da non poter neanche essere commentato; mia sorella Vera, che non mi ha mollato mai: rompiballe tra tutti, é riuscita anche a intrufolarsi dove non poteva, pur di non perdermi d’occhio.
Non ultimi, i miei genitori, sempre presenti e trepidanti, nei loro 160 anni in due, anche quando non potevano far altro che stare fuori a fissare la porta della rianimazione, loro c’erano.
Le mie amiche più care (Rosy, Stefania, Giovanna, …) e la famiglia allargata (Gianluca e Giovanna), che mi hanno raggiunto e sempre supportato.
Il mio capo, il Procuratore Baldelli, già persona di spiccata generosità e sensibilità, che mi ha trattata come una figlia e i miei colleghi (Eva, Carla, Silvana, Annamaria, Mario, Davide, Maurizio, Enrica, il Comandante Bezzon,…), che si sono comportati come una famiglia protettiva e accudente.
Tutti quelli che mi hanno dimostrato affetto (Valeria e Paolo e tantissimi altri).
RINGRAZIO TUTTI, ma, soprattutto: dottori, infermieri e operatori socio-sanitari, i veri EROI di questa vicenda, GRAZIE! per la vostra tempestività, competenza, passione e dedizione e perché siete categorie di persone che svolgono un lavoro delicato e importante con grande serietà e umanità, sempre sorridenti e disponibili verso il paziente e i suoi familiari….e non immaginavo quanto questo fosse terapeutico!
VOI MI AVETE SALVATO LA VITA!
Io…. sono solo una persona molto fortunata!

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1 COMMENTO

  1. Sono felice per lei, è stata molto fortunata.
    Io non posso dire altrettanto. A marzo il mio papà ha avuto dei problemi intestinali. Chiamiamo il 118 che lo porta subito al pronto soccorso dell’Ospedale di Rivoli. Un giorno e mezzo sacrificato in una barella, somministrandogli l’imodium per poi dimetterlo senza una cura con una diagnosi di “gastroenterite”.
    Dieci giorni dopo si è ripetuta la stessa cosa, pressione bassissima, diarrea e vomito. Chiamiamo il 118, lo riportano al pronto soccorso dell’Ospedale di Rivoli in codice bianco ( probabilmente non lo ritenevano così grave! ) Trascorsa tutta la giornata e la notte sacrificato in una barella. Il giorno dopo una dottoressa chiama me e mia sorella dicendoci che l’avrebbero dimesso nel pomeriggio. Noi stupite, ci siamo guardate, lui continuava ad evacuare ininterrottamente e stava male, come avremmo potuto portarlo a casa in quelle condizioni? Solo perché mancavano posti letto? Dopo altri esami si presenta un’altra dottoressa, forse più competente, e lo ricovera in Degenza Temporanea, monitorato 24 h. su 24 e con l’ossigeno. All’inizio sembrava migliorare, era lucidissimo e faceva persino battute spiritose. Poi purtroppo, non so ancora come mai, si è aggravato!La diagnosi era infezione “sepsi”. Dopo una settimana l’hanno trasferito in Medicina Generale. Gli è venuta una trombosi alla gamba e hanno iniziato a gonfiargli braccia e gambe in modo tale da non riuscire più a muoversi. Gli ultimi due giorni gli hanno somministrato la morfina e poi purtroppo si è spento. Capisco che aveva un’età avanzata, forse e lo spero con tutto il cuore che abbiano fatto il possibile per salvarlo, ma a me e mia sorella ci resterà sempre il dubbio e ci domandiamo. ” Se l’avessero già ricoverato la prima volta per accertamenti, anziché dimetterlo per mancanza di letti, forse si poteva salvare? Un episodio che mi ha particolarmente addolorata è quando mio papà ha iniziato a gonfiare, non sapendo il motivo, da profana in materia, ho chiesto disperata ad un medico (se così si può chiamare) e che non faccio nome, perché sono molto discreta, ma che avevo già sentito lamentele su di lui da altre persone, se era normale questo gonfiore! Lui senza un minimo di rispetto e compassione, ridendomi in faccia mi ha risposto: ” Certo che non è normale, è grave!”Mi sono trattenuta nel rispondergli perché mi reputo una donna intelligente, ma non dimenticherò mai quel suo sorrisino da prendere in giro senza un minimo di cuore per una figlia addolorata per le condizioni del papà, non posso accettarlo!! Allora mi domando, quel cartello appeso sulla parete del corridoio ” ATTENZIONE” LE OFFESE VERBALI E LE AGGRESSIONI FISICHE AL PERSONALE OSPEDALIERO COSTITUISCONO REATO. GLI AUTORI SARANNO PERSEGUITI A TERMINI DI LEGGE”vale solo per il personale ospedaliero? E per noi no? Possiamo essere trattati in questo modo? Al contrario invece di altre dottoresse del reparto che ringraziamo molto per essere state vicino a me e mia sorella, condividendo il nostro dolore per la perdita del nostro carissimo e amatissimo PAPA’.

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